Carlo Creazzo, il musicista che fece grande la Banda e se ne andò sbattendo la porta

 Fu un gigante della musica, ma non tutti lo compresero. Carlo Creazzo fu un uomo passionale e generoso oltremisura, dirigeva la banda e insegnava musica a chiunque, praticamente gratis, pur senza essere lui un uomo ricco. Un personaggio esuberante, con una personalità e una cultura radicalmente opposte a quelle del fratello poeta: tanto legato alla fede religiosa e alla Chiesa Carlo, quanto distante e ostile Pasquale; tanto riservato e timido il musicista, quanto estroverso e di compagnia il poeta; tanto rinchiuso nel suo mondo e nei suoi studi il maestro con simpatie fasciste, quanto coinvolto nella politica e nelle vicende pubbliche il fratello di dichiarata fede comunista. Li univa però un carattere non facile, sapevano essere generosi, amabili e disponibili con chiunque, ma erano molto permalosi e diventavano entrambi facilmente collerici.

Carlo Creazzo nacque  il 6 novembre del 1873 a Cinquefrondi e nel  paese ha trascorso tutta la sua vita. L'amore per la musica sbocciò in lui fin da bambino. Era un piccoletto quando cominciò a prendere  lezioni dal maestro polistenese Rodinò Toscano, a quei tempi una grande personalità. E pian piano prese la sua strada, fino ad affermarsi, come compositore, maestro e direttore di orchestra.

Creazzo e la banda di Cinquefrondi sono stati una cosa sola per decenni. Il maestro ha infatti dedicato tutta la sua vita a quel complesso  e alla musica, ha composto brani e opere di carattere sacro ancora oggi in programma nelle grandi e solenni occasioni liturgiche, soprattutto durante la settimana di Pasqua. E al suo attivo ha anche molte composizioni di musica profana. 

Anche a Creazzo, come a tanti uomini d’arte e soprattutto di spettacolo, piacevano i colpi di teatro, i gesti eclatanti, le grandi rappresentazioni sceniche. In realtà lui era di temperamento riservato e schivo, ma ci fu un momento della sua vita in cui sul carattere prevalse la passione e la foga di uomo da palcoscenico. E lui si lasciò andare volentieri, come fosse un’ultima occasione per mostrare le sue qualità e farne dono ai cinquefrondesi. Un dono però dal sapore amaro, che preludeva all’addio definitivo alla sua creatura, la banda, ma non certo alla musica. Era il 1933, e suscitò grande scalpore e tante chiacchiere in paese la pubblicazione di un libello polemico di una quarantina di pagine, firmato dal maestro Creazzo e intitolato ‘Ai cittadini buoni di Cinquefrondi e anche ai pochi cattivi, questo sunto storico della mia vita artistico-bandistica e delle mie tristissime vicende”.                                 

Quel piccolo scritto del maestro era dedicato a quattro o cinque suoi bandisti che da tanto tempo gli remavano contro, rendendogli la vita difficile.

Vale la pena rileggere le prime appassionate parole di quel libretto, in esse c’è tutto del maestro, biografia, temperamento, amore per l’arte, orgoglio, rabbia, delusione: “Nacqui -scrisse il maestro- con l’ereditario bernoccolo dell’arte, e sin dalla mia prima infanzia tutta la natura aveva per me linguaggio musicale. Il cielo azzurro o nuvoloso o stellato; il mare, la campagna, il bosco; tutto l’uni-verso destava in me armonia soave di elevati concetti. Orfano di padre e senza mezzi adeguati -continuava Creazzo- afferrai a due mani il mio modesto ingegno e la mia tendenza, e li sfruttai da me, con forza di volontà tale, che fra non molto, vincendo i più gravi ostacoli, divenni un piccolo musicista: un ammirato autodidatta, suonatore di diversi strumenti tra cui il pianoforte e l’organo che più mi appassionavano.

Nella foto a lato, da sinistra il tenore Michele Longo, il maestro Creazzo e Alfonso Longo

 

 

Fanciullo ancora, in assenza del Maestro signor Raffaele Panetta che aveva smesso di dirigere la banda della nostra cittadina, in occasione di una festa, fui preso in braccio e posto sul palco, di fronte ai bravi musicanti, per dirigerne il concerto. Presi tremante la bacchetta e con gli occhi fissi su lo spartito, seguii le note e non sbagliai il tempo, avevo già un discreto corredo di studi.

 

Fu quello -sottolineava il maestro Creazzo- il battesimo di fuoco alla mia anima ardente di sapere, e da quel giorno sognai con più fascino le vie grandiose e sovrumane dell’arte. Mi detti con grande ardore allo studio; dapprima sotto la guida dell’ottimo Maestro signor Nicola Rodinò Toscano, e poi continuai gli studi di contrappunto e fuga, composizione, strumentazione per banda e per orchestra, acustica musicale, tecnica e principio fisico della formazione di tutti gli strumenti della banda e dell’orchestra, storia della musica, classici italiani e stranieri, ecc., fino ad acquistare quella coscienza artistica indispensabile a chi vuole, senza vergogna, stare a capo d’un corpo musicale. Nel 1897, ventitreenne appena, assunsi sicuro la direzione di questo corpo musicale, ne avevo allora la relativa competenza.

Da quel giorno, anche per la mia indole semplice e amorosa, considerai la banda come una mia famiglia di cui ero il padre. E con il più grande disinteresse, quasi per compiere un apostolato, aprii il mio studio e la mia scuola a quanti giovanetti più mi capitarono, svegliando in loro i sentimenti del bello e l’amore per l’arte. Da allora a oggi centinaia di giovani uscirono dalla mia scuola, più o meno ottimi suonatori, senza che da loro avessi mai preteso il più tenue compenso. Avrei perlomeno diritto alla loro riconoscenza!

Fu per opera di questa mia costanza nell’arte e dei miei grandi sacrifici, se pur attraversando tempi anormali di emigrazioni e di guerre, in ben 36 lunghissimi anni di mia direzione, questa banda, or con minore or con maggiore sviluppo, ha potuto resistere, senza mai sciogliersi, e spesso raccogliendo onori e, relativamente, fama. Ho sempre lottato per dare alla mia banda un vero equilibrio organico corrispondente alle esigenze dei tempi, e ciò mercè una quotidiana e gratuita scuola. E vi fu un vero florido periodo, in cui però furono non lievi i miei sacrifici per impartire lezioni e preparare al debutto molti giovanotti che oggi possiedono bene l’arte del loro strumento. Ed ho l’orgoglio di ricordare a me stesso che da una piccola banda, ero arrivato a formarne un complesso talmente equilibrato che poteva benissimo avviarsi verso il grande stile. 

 

Ma ahimè nei molti anni di sacrificio, tutti spesi per questo ideale, la lotta contro le difficoltà dei tempi e dei mezzi finanziari, fu ben poca cosa di fronte alla lotta sorda, tenace, subdola, velenosa, assillante dei nemici interni…che alitando il venticello nell’animo degli ingenui, versarono il loro filtro malefico!”.

 

Carlo Creazzo stampò l’opuscolo a sue spese presso la tipografia De Marzo di Cinquefrondi e lo fece distribuire in alcune centinaia di copie, casa per casa, perché tutti i cittadini dovevano essere adeguatamente informati dei ‘fatti’ e sapere chi era il maestro e chi erano quegli ‘altri’. Oddio, non è che già non si sapesse, ma Creazzo scelse la via teatrale per prendersi una solenne e pubblica rivincita nei confronti di persone che lo avevano infastidito e fatto ingiustamente e a lungo soffrire, fino a rovinargli persino il sonno. Quel libello fu anche di fatto l’annuncio del suo ritiro dalla direzione della banda, che avvenne di lì a poco.

Quello scritto è stato integralmente ripubblicato nel 2004 dall’editore Barbaro per iniziativa del sindaco dell’epoca prof. Michele Galimi. In esso, dopo l’introduzione citata prima, il povero maestro metteva in fila una lunga serie di soprusi messi in atto mai in forma aperta, ma sempre sottobanco, dal gruppetto di bandisti che lui definiva “ingrati” e che gli creavano continui problemi nella gestione del complesso, suscitando malumori e critiche, e financo scioperi dei musicanti con i più banali pretesti.

Ferito nell’animo, Creazzo ricordò il suo lavoro gratuito di direttore svolto per lunghi anni; sottolineò il fatto che percepiva lo stesso compenso dei semplici bandisti, quando invece avrebbe avuto titolo per ben altri compensi; fece presente che gran parte della musica eseguita era frutto del suo talento, messo a disposizione senza oneri per nessuno; non mancò inoltre di dire che gli spartiti, i libri con i testi e altri accessori li aveva sempre acquistati con i suoi soldi e messi a disposizione della banda. Soprattutto ricordò che quasi tutti i bandisti, specie i giovani, erano stati ed erano ancora suoi allievi, nella specialissima scuola di musica che Creazzo aveva organizzato in modo un pò artigianale, ma certo efficace, nella sua casa di via Prato al n. 5, e che per tale servizio non aveva mai chiesto un centesimo.

Infine, il maestro ferito nell’orgoglio sottolineò impietoso la sostanziale differenza fra lui, cultore e amante dell’arte musicale, e quei quattro o cinque personaggi che stavano nella banda solo per raccattare poche lire, senza alcun reale interesse per la musica e forse invidiosi della sua personalità.

Il maestro da tempo covava risentimento verso i sabotatori della banda, ma non sapeva come affrontarli e se affrontarli pubblicamente. Finchè un giorno la misura fu colma: ciò accadde quando questi suoi musicisti ribelli cercarono di sobillare il resto dei musicanti per farlo allontanare o dimettere, insomma una specie di golpe. Ma i giovani del gruppo non si prestarono al gioco, loro amavano quel maestro gentile, che insegnava musica gratuitamente nel giardino di casa, e che nella sua vita pensava solo a note e spartiti, a letture di classici e romanzi del tempo andato, non occupandosi d’altro. Un musicista che aveva rifiutato interessanti e ben remunerate offerte professionali perfino da Reggio Calabria, da Vibo e da altre città, pur di restare a Cinquefrondi e soprattutto per ‘non tradire’ la sua banda che considerava “come una figlia”.

Un giorno venne messa in giro la voce falsa che la banda si era addirittura sciolta, cosa che mandò Creazzo su tutte le furie. Lui corse a denunciare i suoi avversari alle autorità indicando nomi e cognomi, con quelli forse c’erano di mezzo anche contrasti di natura politica, sebbene il maestro pensasse solo al suo lavoro e non fosse direttamente impegnato sulla scena pubblica. Creazzo infatti non nascose mai le sue simpatie per il partito fascista. Sta di fatto che proprio in occasione del tentato golpe ai suoi danni scriveva, rivolto alle autorità: “è lecito a quattro sovvertitori, scioperanti e antifascisti, con soprusi e mezzi disonesti, attaccare una Banda del Dopolavoro in regola con le leggi sindacali e della società degli Autori, e con le leggi Fasciste?”. Parole che erano la premessa per il ritiro dopo ben 36 anni di onorevole e amorevole attività al servizio della banda di Cinquefrondi.

Le angherie subite dovevano aver avuto un effetto devastante sull’animo del povero maestro, che ormai ne era ossessionato, e il loro pensiero lo accompagnava in tuti i momenti della giornata. Una volta, guardando la maschera di Ludwing van Beethoven, Creazzo disse amareggiato: “tu -o Grande- mi somigli…non nella potenzialità dell’arte tua, poiché chi può mai uguagliarti? ma perché come te ho saputo ingoiare molti e molti dolori, avendo come solo conforto l’arte che ti fu sempre fida compagna. Chissà se il tuo spirito qui aleggia mentre parlo con te, e se ascolta il mio dire !...”.

Anche dopo l’addio all’amata Banda cittadina, la musica restò sempre il primo amore del maestro, che continuò a insegnarla anche nelle scuole pubbliche, dedicandosi inoltre alla composizione. Risale al 6 maggio del 1946 la realizzazione di un inno in onore di San Michele protettore di Cinquefrondi, del quale in seguito rielaborò anche una versione per banda.

Creazzo ha lasciato una lunghissima serie di opere, ritagli, appunti, custoditi in un archivio che i familiari in anni recenti hanno consegnato al Comune. Il maestro Carlo Creazzo morì il 26 maggio del 1958.

 

(in parte tratto da 'Lessico dell'anima', di Francesco Gerace, 2020; foto Archivio Storico Tropeano e altri non identificati)

Commenti