Elisa Foriglio racconta gli incubi del nonno Francesco, superstite dell'eccidio di Cefalonia

Giorni di guerra, ricordi di guerra. In tante famiglie italiane la guerra in Ucraina evoca brutti ricordi, di lutti e distruzione. E anche di anime ferite, di cicatrici mai rimarginate come quelle di tanti soldati tornati dal fronte: tornati trasformati, anzi diventati un'altra persona rispetto a prima. E' il caso di Francesco Foriglio, giovane cinquefrondese che  si ritrovò in divisa agli ordini della 33ma Divisione di fanteria Acqui, tristemente nota per essere stata praticamente decimata in quello che passò alla storia come l'eccidio di Cefalonia. I soldati della Acqui si trovavano sull'isola greca di Cefalonia con i soldati tedeschi all'epoca alleati. Ma l'8 settembre del 1943 con la firma dell'armistizio, quegli alleati divennero improvvisamente nemici.  Quel che successe dopo è sui libri di storia, i nazisti non ebbero pietà degli italiani, inferiori di numero e in armamenti. Morirono in diecimila. Fra i pochi superstiti anche Francesco Foriglio, giovane cinquefrondese, tornato a casa nessuno sa come. Della tragedia di Cefalonia non volle mai parlare, di notte aveva gli incubi, la guerra gli aveva risparmiato la vita ma gli rubò per sempre la pace. Qui di seguito la nipote Elisa Foriglio traccia un ricordo del nonno Francesco e racconta le poche cose che la famiglia riuscì a sapere della terribile vicenda vissuta dal loro familiare. 


Francesco Foriglio e la moglie Teresa Mezzatesta celebrarono il loro matrimonio il 25 aprile 1945





di Elisa Foriglio


 Le guerre portano distruzione fuori e dentro, davanti agli occhi, e dentro al cuore. Quella che vi racconto è una storia comune, di un ragazzo come tanti, chiamato a dare il suo contributo per la patria, a cui venne messa in mano un’arma da usare contro il nemico, senza troppe esercitazioni. Nessun’altra spiegazione, era il dovere che bisognava compiere.

Si chiamava Francesco Foriglio, era di Cinquefrondi,  nato il 12 novembre del 1919, tuttavia per un sucessivo errore di trascrizione manuale della data, quest'ultima venne convertita in 1912; un analogo errore fece sì che il cognome della sorella diventasse Furiglio dall'originale Foriglio. 

Francesco aveva una fidanzata, di poco più piccola che si chiamava Teresa Mezzatesta. Davanti a lui una vita di lavoro duro in campagna per aiutare la famiglia, in un tempo dove però l’aria di guerra si respirava da vicino, talmente tanto che venne chiamato alle armi. Dovette arruolarsi, ma lo fece con la promessa che sarebbe tornato a sposare quella ragazza che tanto amava. 

La sua partenza non fu facile per la famiglia, difatti avvenne dopo la morte del fratello Michele in un ospedale da campo, e con quel peso sul cuore lasciò la sua vita di contadino e la sua famiglia. Il fratello Michele, arruolato diversi anni prima, morì di polmonite in un ospedale da campo in Veneto, vicino a Verona, e la famiglia ne venne a conoscenza grazie alla pietà di un'infermiera alla quale in punto di morte il giovane moribondo aveva chiesto di informare del suo triste destino i suoi a Cinquefrondi. Per inciso non abbiamo mai saputo dove fu sepolto.

Mio nonno Francesco venne arruolato in quella che veniva nominata la 33ma Divisione della fanteria Acqui. Era il 1940 quando l’Italia entrò in guerra, e nel 1941 Mussolini decise di invadere la Grecia. La Acqui comandata dal generale Gandin fu inviata di stanza nelle varie isole: Cefalonia, Corfù, Zante, è qui che gli italiani rimasero per 3 anni in attesa e con la speranza che presto tutto finisse.

Nonno era addetto nella cucina, la vita in Grecia tutto sommato in quegli anni non fu troppo difficile, rispetto agli altri posti di guerra era in un certo senso molto più tranquilla. L’8 settembre del ‘43, l’Italia firmò l’Armistizio di Cassibile, cioè il cessate il fuoco con gli anglo americani; alla notizia della firma, le reazioni del reggimento furono di gioia e stupore, finalmente si ritornava a casa! Nessuno poteva immaginare ciò che invece sarebbe successo poco tempo dopo.

Il generale Gandin dopo vari ordini contraddittori e trattative non andate a buon fine con gli ormai ex alleati tedeschi, si trovò di fronte ad una scelta drammatica: arrendersi ai soldati di Berlino oppure combatterli senza poter contare su alcun aiuto esterno. La guarnigione italiana decise di opporsi ai tedeschi, così il 15 settembre del 1943 iniziò un combattimento durato circa 7 giorni, prima della resa. I nazisti bombardarono a lungo le truppe italiane, fu un disastro, il piccolo centro di Argostoli da dove mio nonno spedì l’unica cartolina alla sua famiglia, venne distrutta, più di 1200 soldati caddero in combattimento, l’Acqui dovette arrendersi. Gandin venne fucilato, migliaia di soldati e ufficiali falciati e uccisi nel cortile della Casetta Rossa, località che prendeva questo nome da un fabbricato di colore rosso che lì sorgeva. 

I superstiti vennero caricati su navi destinate ai lager, o fatte affondare in mare aperto. La Divisione Acqui era annientata. Arrivati in continente quelli che videro e riuscirono a raccontare, parlarono di uomini che vedevano la morte con i loro occhi, ufficiali fucilati con in mano le foto di mogli e figli, giovani soldati impauriti che chiedevano perdono implorando la vita, non bastarono nemmeno le urla disperate del cappellano a fermare l’eccidio, persino i soldati feriti, che a stento si reggevano in piedi appoggiati gli uni agli altri venivano avviati verso il muro in attesa del proprio turno di fucilazione in quel massacro. 

Molti greci e partigiani aiutarono e nascosero feriti e superstiti, mio nonno fu tra quelli. Ma ciò che rimase più impresso negli occhi di chi visse questo orrendo crimine furono i roghi delle salme accatastate, nelle menti gli spari delle esecuzioni di massa, il colpo di grazia riservato agli ufficiali, le migliaia di cadaveri lasciati sul posto, si perché era stato vietato persino seppellire, l’ordine arrivato da Hitler era: non fare prigionieri, nessuno doveva sopravvivere perché gli italiani si erano macchiati di tradimento. La divisione Acqui fu il prezzo più alto che l’Italia pagò per una guerra persa dal regime fascista.

Quell’inferno vissuto a Cefalonia mio nonno e tanti altri ragazzi lo portarono per il resto della loro vita, non fu facile per loro il ritorno a casa, con dentro agli occhi il terrore e la paura di quei giorni. I ragazzi sopravvissuti della Divisione Acqui volevano solo dimenticare, non parlavano mai del passato, non raccontavano. Per loro non esistono riconoscimenti o onore alla memoria, perché l’ingiustizia della guerra li ha condannati due volte, molti non furano nemmeno considerati 'sopravvissuti' bensì “disertori' o qualcosa di simile. Pochi riuscirono, dopo anni di burocrazia, a dimostrare di non aver abbandonato le armi, ma da semplici e impauriti soldati aver cercato solo di far ritorno a casa dopo l’annuncio dell’armistizio. 

Mio nonno mantenne la sua promessa di tornare a Cinquefrondi dalla sua Teresa. Non è chiaro se per caso o per scelta, i due si sposarono nella chiesa matrice proprio il 25 aprile del 1945. Nessuno seppe mai come fece a tornare in patria da Cefalonia, cosa realmente visse in quei terribili giorni, si leggeva solo nei suoi bellissimi occhi azzurri l’immenso orrore che quell’eccidio aveva causato. Raccontò ciò che avete appena letto, ma lo fece soltanto in occasione degli incubi che a volte la notte inevitabilmente gli si ripresentavano davanti. Pian piano il tempo fece la sua parte, mio nonno riprese la vita di sempre in campagna, da quel matrimonio nacquero cinque figli. Francesco Foriglio morì il 21 maggio del 1984.

A lui, ai suoi giorni da semplice soldato in un mondo che ha distrutto migliaia di vite, ai ragazzi di quella generazione, a coloro che hanno combattuto fino alla fine, oggi giorno della Liberazione  sia reso omaggio alla memoria, al sacrificio e al coraggio.


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