Fedhan Omar, misteri e segreti del grande artista libanese che amò e visse a Cinquefrondi

                                                                Fedhan Omar


La morte lo raggiunse il 25 luglio 2018, Fedhan Omar si trovava nella sua casa di Catanzaro. La malattia era di quelle che non perdonano.  I figli Susanna detta Susy, Amer e Manuela, e la signora Mariella hanno assistito e accompagnato Fedhan fino al momento supremo. Intorno, il silenzio della casa, il dolore muto per un marito e un padre che se ne va, il funerale cui pensare, gli altri familiari che arrivano alla spicciolata, i vicini di casa, gli amici, i colleghi, gli allievi che pian piano riempiono la casa. E fra un abbraccio e l’altro, la mente e il cuore affollati di ricordi che vanno e vengono.

“Ero tornato in Italia per lui, perché stava male” racconta Amer, il più giovane dei figli di Fedhan. “Quando papà si è aggravato, cioè a primavera del 2018, mi trovavo negli Emirati Arabi. Ho sentito che dovevo tornare, mi sono dimesso dal lavoro, ho lasciato il mio posto di direttore di un grande ristorante e sono tornato a Catanzaro” prosegue Amer. 

Tanti segreti e mille avventure hanno segnato la vita di Fedhan Omar. Un nome che a molti forse, a Cinquefrondi, ancora oggi non dirà nulla, almeno sulle prime. Ma poi, vedrete, vi sembrerà di averlo conosciuto da sempre.

Intanto diremo che Fedhan è stato un cittadino del mondo. Nato in Libano, ha studiato in Arabia Saudita, ha completato gli studi a Roma, ha cominciato la sua attività artistica nella capitale e poi ha girato mezzo mondo, prima di approdare in età già adulta a Cinquefrondi dove si è fermato per un pò di anni, quindi è stato anche a Milano, infine a Catanzaro per il resto dei suoi giorni. Era pittore e professore di arte. Ma definirlo così è abbastanza riduttivo. 

La sua vita è stata dedicata all’arte pittorica; anziché nei pensieri lui viveva immerso nei colori, nelle immagini cui dare forma e vita. Studiava gli altri e lavorava su sé stesso. Amico di grandi artisti, a cominciare da Renato Guttuso che lo stimava. Frequentatore abituale della casa reale saudita e delle monarchie europee, metteva l’amore per l’arte al di sopra di ogni altra cosa. Ovunque si trovasse, pensava a dipingere, e in tutta la sua vita ha prodotto migliaia di opere. Su tela, carta, cartoncino. E disseminato il mondo di immagini di ogni tipo, ritratti, paesaggi, scorci di paesi e centri abitati, forme astratte.

Era un tipo singolare, Fedhan. Anche un bell’uomo, alto, dal portamento elegante, due occhi profondi. Per le cose che faceva e le persone che frequentava, avrebbe potuto darsi arie da grande personaggio. Non avrebbe avuto bisogno di millantare. Gli sarebbe bastato raccontare di sé e dei suoi trascorsi e delle sue amicizie altolocate, per suscitare ammirazione e magari invidie, e per assumere un tono di superiorità, lui che possedeva di suo un naturalissimo tratto aristocratico. Invece preferiva stare un passo indietro, sempre. Strano a dirsi: un pittore anche di valore, che fa mostre a livello internazionale, che frequenta Re e Principi e Capi di Stato, ma non ama la ribalta. Preferisce il profilo basso, sobrio, dell’amico della porta accanto, del vicino di casa. Fedhan Omar era così. 


Queste pagine nascono dal desiderio di raccontare la vita straordinaria di un uomo che amava mostrarsi come ordinario. Chi scrive ha sentito parlare di Fedhan Omar da ragazzino. ‘Artista’: lo definivano sempre così, quando parlavano di lui. E nel sentire pronunciare quella parola, pareva di vederla scritta con la a maiuscola. Perché quell’uomo aveva qualcosa di affascinante e anche quelli che gli davano del tu non potevano fare a meno di sottolinearlo.

Non ricordo di aver mai conosciuto personalmente la moglie e i figli di Fedhan, conoscevo bene invece il resto della sua famiglia acquisita. Per Cinquefrondi è una famiglia importante, con un nome impegnativo, i Creazzo. Capostipite era Pasquale Creazzo, per molti don Pasquale, poeta, scrittore, archeologo dilettante, appassionato di storia e di politica. Ha scritto moltissime cose, divenute famose soprattutto dopo la sua morte. Destino comune di tanti artisti.  La sua fama è dovuta alle poesie e alla forte verve politica. Era un comunista convinto ed anche un attivista politico. Ma soprattutto era un uomo libero e quindi difficilmente condizionabile e manipolabile. Perciò era scomodo anche per il suo partito, che lo rispettava e lo temeva, ma forse non lo amava, proprio perché imprevedibile. Don Pasquale è vissuto dal 1875 al 1963.


Don Pasquale amava la vita e la politica, e finì col mischiare le due cose quando decise di dare ai suoi figli dei nomi molto particolari e suggestivi: Garibaldi, Federico, Libero, Adone (morto in gioventù in circostanze tragiche) Bixio, Aurora, Vera e Rosetta. Il che la dice lunga sull’ammirazione per l’eroe dei due mondi e anche sulla personalità di don Pasquale, e sul suo modo estroverso di stare al mondo.

E qui arriviamo a Fedhan Omar e al suo legame con i Creazzo. La moglie di Fedhan infatti era figlia di Garibaldi, il primogenito di don Pasquale. Il giovane libanese l’aveva conosciuta a Roma e da allora i due non si erano più separati. Lei Maria Giuseppina Creazzo, detta Mariella, studiava al liceo artistico di via di Ripetta, nel centro di Roma, anche lui studiava arte. Lei veniva da un paesino della provincia di Reggio Calabria, dove a quei tempi si respirava aria pura e tanta fame e povertà. Lui veniva dal lontano Libano, e precisamente dal villaggio di Mascita Hassan destinato a restare nei libri di storia locale per un episodio lì accaduto, che ebbe proprio la famiglia di Fedhan come protagonista. Gli Omar erano una famiglia in vista e i loro uomini -come ricorda con orgoglio Amer- guidarono la durissima, e vittoriosa resistenza dei cittadini locali nel periodo fra le due grandi guerre mondiali, contro un reparto militare francese. 


Fedhan era nato lì il 15 ottobre del 1932. Suo padre era un proprietario terriero e amministrava i suoi possedimenti agricoli. Tutta la famiglia, anzi diremmo meglio, secondo il linguaggio locale, la tribù degli Omar si occupava di agricoltura e allevamenti. Ogni nucleo familiare aveva il suo pezzo di terra, più o meno grande, e di quello viveva, fra produzione, commerci e scambi vari. Il Libano era ed è una terra lussureggiante, boschi e campagne meravigliosi, frutteti a perdita d’occhio, coltivazioni intensive.  Già all’inizio del secolo facevano le cose in grande, non a caso si parlava della terra dei cedri -che lì crescono numerosi e altissimi- come della Svizzera del Medioriente.

Il villaggio di Fedhan sorgeva a circa 400 km dalla capitale Beirut. La famiglia Omar era così numerosa, e lo è ancora, che ogni anno veniva organizzata una grande festa per ritrovarsi tutti assieme, con la partecipazione di alcune centinaia di persone. Era l’evento dell’anno, e tutti vi partecipavano. 


Il giovane Fedhan aveva tre fratelli e due sorelle, e da bambino crebbe in un ambiente affettuoso e generoso, ma anche severo. Le regole erano le regole, bisognava studiare ma anche lavorare e dare il proprio contributo alla vita della casa e dell’azienda, chiamiamola così. Ma il clima era sereno e pacifico, e ciò segnò senz’altro il carattere di Fedhan che proprio in casa aveva respirato e assorbito le parti migliori del suo temperamento di uomo. Mite e riflessivo, calmo, gentile, dai modi sempre signorili. Lo ricordano tutti così quelli che l’hanno conosciuto di persona, e non lo si dice per farne un santino, come spesso capita verso le persone scomparse. No, Omar era proprio così. Ed era talmente vero il suo disinteresse verso le cose materiali che quando decise di venir via in Italia, rinunciò volontariamente alla sua quota di eredità familiare per non creare pasticci nel clan e per essere più libero di affrontare il mondo, senza vincoli. La signorilità dei suoi modi lo faceva sembrare talvolta fuori posto, o addirittura un ingenuo, specie nella Calabria provinciale e paesana, dove non di rado i modi delle persone possono essere bruschi e abbastanza sbrigativi. 


A Cinquefrondi Fedhan rimase nel periodo che va più o meno dalla metà degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta; insegnava arte, dipingeva, scriveva riflessioni e ragionamenti, a metà fra percorsi artistici da esplorare e pensieri filosofici. Nondimeno, era integrato nella società locale, e come d’abitudine per quelli della sua età frequentava la sede dell’allora Democrazia Cristiana, che era un partito ma anche ritrovo abituale di molti che non erano affatto militanti politici, e si incontravano per chiacchierare, talvolta per una partita a carte o semplicemente per stare assieme, specialmente nelle ore serali. D’altra parte che cosa si può fare in un paesino? o si sta a casa o si va in piazza, al circolo o al partito o in parrocchia e lì si incontrano gli amici, si chiacchiera e si tira avanti fino a ora di cena. Cinquefrondi era così, e parliamo anche di un tempo in cui la tv non era ancora nemmeno in tutte le case. 


Fedhan frequentava anche il locale Psi, per lo stesso motivo, anche se lì non si giocava a carte. Insomma era uno cui piaceva la compagnia. Era amico di molte persone, ma nello stesso tempo manteneva un suo distacco. Frequentava la Dc senza essere democristiano, era amico di molti socialisti e comunisti senza appartenere del tutto nemmeno a quegli ambienti. Non amava troppo la piazza, e infatti si sottraeva volentieri alle lunghe passeggiate d’ordinanza dei suoi coetanei locali.

Essendo un artista, un signore elegante, dai modi raffinati e gentili, con un carisma non sempre decifrabile, con i suoi silenzi, le lunghe pause nel parlare, i pensieri espressi in modo pacato, Fedhan era apprezzato e la sua compagnia richiesta. Gli esponenti politici locali erano anche ansiosi di poterlo accasare sotto le loro bandiere, perché uno così avrebbe dato lustro alla bottega e portato qualche voto in più. Ma lui non amava la politica attiva, le beghe, le polemiche, le campagne elettorali, le possibili inimicizie conseguenti: frequentava quei mondi perché a Cinquefrondi, in quegli anni, erano gli unici luoghi dove gli uomini adulti si potevano incontrare. L’alternativa, altrimenti poco stimolane, era di stare a casa tutto il giorno. 

A Omar piaceva l’amicizia, la conversazione colta, la compagnia, financo le serate a giocare a carte. Ma si trattava di accessori, di cose secondarie, che non lo coinvolgevano poi troppo. Il suo unico vero pensiero era l’arte, il colore, l’immagine, il pensiero tramutato in disegno, il ritratto. E poi le mostre, l’impatto con i visitatori, il giudizio dei critici. Lo studio dei grandi del passato, i classici, che lui approfondiva per poi seguire altri filoni espressivi. E naturalmente l’insegnamento. I suoi studenti sapevano di avere a che fare con un personaggio di eccezione e non con un qualsiasi professore di arte, e lo ascoltavano a bocca aperta. 


La vita cinquefrondese non fu sempre rose e fiori. Omar ebbe anche qualche problema economico, ma Fedhan non si perse d’animo, e in più occasioni utilizzò la cessione o il baratto dei suoi quadri per chiudere qualche falla del bilancio familiare. Segno che le sue produzioni pittoriche erano apprezzate anche in un ambiente piuttosto limitato dove certamente non era la conoscenza dell’arte, quella con la A maiuscola, a indirizzare le scelte dei creditori, quanto il gusto estetico innato in ogni essere umano. I quadri di Omar piacevano, e dunque potevano essere acquistati. 

Fedhan Omar in gioventù fu amico di re, principi e principesse. La sua famiglia aveva buoni rapporti con la casa reale saudita e il principe Feysal, futuro Re d’Arabia, si offrì di sostenere quel giovane talento artistico, che fu così spedito in Italia nel 1957 a perfezionare i suoi studi, frequentando il corso di pittura fino al 1961, diplomandosi all'Accademia di Belle Arti in pittura e storia dell’arte. Ebbe per maestri Franco Gentilini, Afro e Mino Maccari, nomi importanti nella storia artistica del Novecento. In seguito Omar strinse rapporti anche con il ministro della pubblica istruzione dell’Arabia Saudita, per l’insegnamento della disciplina pittorica nella scuola privata di Re Feysal, un sovrano lungimirante e attento, e molto orgoglioso di quel promettente giovanotto. A Omar, Feysal chiese di fargli un ritratto, che fu poi esposto nell’ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma. 


Durante il soggiorno romano, poi peraltro coronato dall’incontro con la donna della sua vita, Fedhan spesso e volentieri si univa alla brigata al seguito dei membri della famiglia reale araba, che era in giro per l’Europa, un pò per divertimento, un pò per intrattenere relazioni con le altre case reali del vecchio continente. In una di queste scorribande, il giovane pittore libanese si cimentò con un altro impegno importante, il ritratto dei reali del Belgio.

Lui, uomo sobrio e modesto, non ha mai fatto vanto di queste amicizie e compagnie, e mai se ne servì per scopi personali, avendo sempre in testa invece di focalizzarsi sull’arte e sul colore, sulla filosofia.

Un’altra volta, molti anni dopo, sarebbe venuto a forte contatto con il potere, quello craxiano e socialista degli anni 80, della Milano da bere e così via. Lui fu per un periodo nel capoluogo lombardo, insegnò anche arte nelle scuole di quella città e cominciò a frequentare i circoli e gli ambienti legati al partito socialista, di cui in fondo era simpatizzante. Ma se ne allontanò improvvisamente quando in circostanze mai del tutto chiarite, gli venne fatto capire che se si fosse iscritto a una loggia massonica, forse la P2 o chissà quale altra, entrando in certi giri, anche la sua quotazione artistica ne avrebbe guadagnato o comunque ne avrebbe ricavato dei benefici. Fu uno sbaglio madornale, il peggiore che potevano fare con un uomo come Omar, il quale voleva, come tutti gli artisti puri, che la sua arte venisse apprezzata per quel che era, non per altre ragioni estranee o oblique.

Aveva fiutato il potere da vicino Omar e ne era rimasto scottato e scandalizzato. Lui era un altro tipo di socialista, pensava al bello e al giusto, al colore per rappresentare e disegnare il mondo, e quelli gli parlavano di massoneria e riunioni segrete e di potere. Fu questa una delle ragioni, se non la ragione principale, che in breve indusse il pittore a lasciare Milano e cercare lidi più sereni. E siccome le vie della scuola sono infinite, finì per accasarsi nuovamente in Calabria, con la cattedra in un istituto di Catanzaro, città dove poi è sempre vissuto. Qui potè continuare a fare il pittore, insegnare arte ai ragazzi, studiare e leggere, senza assilli extra. In Calabria conobbe altri artisti famosi come Mario Schifano e Mimmo Rotella, dei quali fu amico.

Nel suo primo periodo calabrese, quello vissuto a Cinquefrondi, Omar cominciò a farsi conoscere al grande pubblico con un discreto numero di mostre, esordì a Reggio Calabria, poi a Cosenza, Roma, Firenze, ma durante la sua carriera artistica ha esposto le sue opere anche Berlino, Londra e New York.

In occasione di una mostra di suoi dipinti negli ultimi anni della sua vita, Omar tratteggiò così la sua storia, poi riportata nell’enciclopedia dell’arte moderna italiana: “sono nato a Mascita Hassan, nell’alto Libano nel 1932, e lì ho trascorso fanciullezza e adolescenza fino a 14 anni, quand’è cominciato il mio peregrinare che certo non terminerà con questa ormai lunga sosta in Calabria. Sono stato a Tripoli (Libano), a Homs (Siria), dove ho studiato all’istituto arabo-islamico, quindi a Beirut per frequentarvi l’Accademia sotto Gentilini, Rivosecchi e Giaina. Conseguito il diploma, sono stato in Arabia Saudita, dove ho dipinto tutti i personaggi più importanti del mondo arabo, da Feysal a Bourghiba (ndr, Presidente della Tunisia dal 1957 al 1987). Vi ho avuto affidati i ragazzi delle più cospicue famiglie e li ho accompagnati in gita d’istruzione per mezz’Europa. Laggiù, per un certo tempo della mia vita, sono stato anche invidiato, quando i giovani mi chiamavano maestro. 


Rientrato in Italia, ho scelto come residenza la Calabria, e qui ho variamente lavorato a partire dal 1968. Da allora -dopo un esordio difficile- ho esposto un pò dappertutto: alla Galleria d’Arte moderna di Bologna, a quella d’Arte internazionale di Firenze, a Il riccio di Venezia. Ho partecipato a collettive in Italia e in Europa. Ho avuto dei riconoscimenti, alcuni grossi premi, moltissime critiche qualificate. Franco Gentilini, Renato Guttuso, Giuseppe Berto, Domenico Zappone mi hanno onorato delle loro presentazioni. Anche Jean Paul Sartre si è interessato alla mia pittura quand’ero a Parigi. Quand’ero in Oriente ho dipinto i miei paesi, poi sono passato ai ritratti, quindi -dopo il rientro in Italia- per lungo tempo ho rievocato e fatto rivivere sulle tele le donne di laggiù, le favolose regine vestite d’ori e di broccati, irraggiungibili come i sogni e tuttavia vere, reali, splendide e misteriose, aureolate come madonne e perciò circonfuse di nimbi contro cieli del color dell’aurora. È stato un periodo bellissimo, ma subito dopo mi sono lasciato incantare dalla Calabria, che intanto andavo di giorno in giorno scoprendo: ora infatti m’esaltava la vista dei paesini arroccati sulle montagne, le case a perpendicolo riflesse nei mari come miraggi, i neri villaggi sconvolti dal vento, le marine bruciate dal solleone quando uomini e donne ardono come arcane parvenze. In seguito ho incastrato sulle tele la magia dei fuochi pirotecnici, delle estive meteore che esplodono come melagrane, dei corimbi dei fiori strappati dal vento, e ho finanche giostrato con l’arcobaleno per carpirgli i segreti eterni delle sue iridescenze. Ora infine -racconta ancora lo stesso artista- dipingo quello che ho dentro quando è ancora materia incandescente che attende d’acquistare forma, i segmenti caotici della natura ancora informe, le parole balbettate scomposte, tutto il mare sanguinoso nel quale affogo mentre tento di raggiungere la riva dov’è la salvezza, l’angoscia esistenziale -in una parola sola- che m’assale con i dubbi e le angosce, con gli eterni perché, le malinconie, le cadute, i crucci, le riprese, eccetera. Tutto quanto insomma fa parte della vita di uomini d’oggi alle prese con cose più grandi e che tuttavia bisogna vincere”. 

Così dunque Omar parlava di sé stesso. Parole importanti, dettate dal profondo del cuore. Parole anche impegnative, che mostrano un pittore a suo agio con i temi dell’esistenzialismo, e un uomo che si interroga di fronte ai grandi perché dell’esistenza. Parole soprattutto di un uomo che, venuto dal mondo mediorientale e da una cultura assai diversa da quella italiana e occidentale, ha saputo poi calarsi nella nuova realtà fino a farla propria, e ad affrontarla dal di dentro. Omar usa frasi e concetti e espressioni di elevatissimo livello culturale, indizi anche di una padronanza linguistica e concettuale pari all’arte pittorica di cui è stato protagonista.

Il grande pittore siciliano Renato Guttuso, fra i più grandi del secolo scorso, di Omar è stato buon amico, e protestò vivamente con lui quando il libanese gli comunicò di voler lasciare la capitale; un giorno il grande siciliano in occasione di una mostra a Roma gli scrisse un biglietto delicato, che è anche una recensione stupenda alle opere esposte: ”La rievocazione della favolistica rivive nelle tue figure di donna che partecipano così del presente e del leggendario passato dei popoli arabi. Anche il tuo incontro con la Calabria ha dato risultati felici. Nel paesaggio mediterraneo sia esso Grecia, Arabia, costa Nordafricana, Sicilia, Calabria, Spagna del sud) circola la stessa aria, lo stesso sentimento di civiltà”.

Del nostro pittore calabro-libanese si è occupato anche uno dei pezzi da novanta della letteratura italiana del ‘900, Giuseppe Berto, autore nato in Veneto nel 1914, che trascorse gran parte della sua vita in  Calabria, autore fra gli altri di due romanzi di grande successo, ‘Il male oscuro’ e ‘La Gloria’. Giuseppe Berto e Omar si conobbero e si frequentarono. In entrambi era vivissimo il tormento sul senso della vita. In occasione di una mostra di dipinti di Fedhan, lo scrittore mise nero su bianco il suo parere: “Ecco che questa Calabria, nei quadri di Omar, senza perdere contatto con la realtà, cioè tutto sommato mantenendo il suo carattere contadino, acquista nel colore smaltato, nella composizione quasi fissa alla maniera bizantina, e per una specie di sortilegio nelle stesse strutture, un accento da favola orientale, che per Omar è fedeltà al suo paese d’origine, e per noi ricordo e continuità di un comune andare”. 

Ancora Berto in una presentazione scritta in occasione di una mostra nel 1970 dice: “io poi sento che questo pittore, al di là dei risultati pratici raggiunti, ci fa un dono grande avvertendoci che nell’infinita tristezza del Mezzogiorno è possibile recuperare ancora abbastanza poesia e letizia, legata non appena a un aumento del benessere, ma anche ad una visione più fantasiosa della vita“.

Nel corso degli anni il pittore libanese ha cambiato e movimentato il suo genere, dai ritratti ai paesaggi, dalla natura alle combinazioni astratte, cercando sempre nuovi traguardi e nuove forme, affinando la tecnica di lavorazione del colore, e approdando nell’ultima parte della sua esistenza a quella che gli esperti hanno definito con la difficile e apparentemente incomprensibile espressione di ‘eclettismo frattale’. Un concetto secondo il quale la forza dell’immaginazione non si pone limiti con le diverse composizioni che l’uomo riesce a generare, sa realizzare artisticamente nuovi orizzonti, aperti e liberi, evoluti e fluttuanti, di rottura e di alternative, in quanto la tecnica produce, attraverso il momento creativo, una molteplicità di alterne combinazioni e soluzioni pittoriche.

E della pittura cosiddetta “frattale” Omar avrebbe voluto avviare una scuola, un corrente artistica, ma l’avanzare dell’età e soprattutto l’aggravarsi delle sue condizioni di salute non lo hanno consentito.

Sul sito internet di Fedhan rimasto attivo per volontà dei figli (all’indirizzo https://fedhanomar.com/) è possibile ammirare una minuscola selezione della sua ricchissima e coloratissima produzione pittorica. 


La figura di quest’uomo meriterebbe di essere ricordata in modo adeguato, magari promuovendo una rassegna delle sue opere per far conoscere a tutti la sua arte. E non sarebbe male che una strada cittadina fosse intitolata da Cinquefrondi a questo suo figlio acquisito.

Anche dopo la sua vita terrena Omar ha conservato, sebbene naturalmente non per sua scelta, lo stile discreto e signorile che ha caratterizzato tutta la sua esistenza: è stato infatti sepolto in un luogo quasi nascosto del cimitero di Cinquefrondi. La sua tomba si trova vicino a quelle della grande famiglia dei Creazzo, ed è collocata in un angolo, con una fitta siepe a farle da riparo; per vederla ci si deve proprio andare apposta. Sempre un passo indietro, anche sulla soglia dell'eternità,  il gentile Fedhan Omar, l’artista libanese che amò Cinquefrondi.


 (testo tratto da 'Lessico dell'anima' di Francesco Gerace, 2020; foto Archivio Storico Tropeano e sito Omar)

 

 

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