Peppino Pittalis, il signore della Pretura che dava del tu alla Legge

                             Peppino Pittalis


La vecchia Pretura è il luogo dove ha prestato servizio per una vita intera il cancelliere Peppino Pittalis, una delle persone più generose e disponibili mai conosciute, nonchè grande professionista. 


Pittalis era un monumento vivente in quel piccolo avamposto della Giustizia dello Stato, senza di lui non si poteva andare avanti, stava in ufficio fino a tarda ora e non se ne andava finchè l’ultima pratica non era a posto. Un maniaco del lavoro, benvoluto da tutti. Era un super esperto di diritto, conosceva le leggi a menadito, si metteva nel taschino fior di avvocati, ma per tutti era solo Peppino, mentre il titolo di ‘dottore’ glielo davano i forestieri, intimiditi dalla sua sapienza e dai suoi modi a volte sbrigativi ma sempre efficienti.

Ogni mattina il buon Peppino aveva a che fare con gente d’ogni tipo, imbroglioni e persone perbene, poveri diavoli e furbi maldestri, in giudizio per cose gravi e serie o vicende minori. Ma tutti timorosi di fronte al giudice. Peppino rispettava tutti e su tutti faceva valere la legge. Però non era lui ad amministrare la giustizia, bensì il vicepretore Guerrisi per tanti anni, poi l’avv. Seminara, poi altri ancora. Pittalis gestiva la macchina burocratica: trattava con gli avvocati, verificava i documenti, vistava le carte, le procedure passavano per le sue mani, le date delle udienze, lo stenografico del dibattimento, ogni cosa era soggetta al suo sguardo attento e scrupoloso.












  

                                                                                       (nella foto Pittalis è il penultimo, a destra - Archivio Storico Tropeano)

Peppino riceveva ogni giorno donazioni di ogni tipo che subito elargiva a vicini di casa e amici, quasi mai tratteneva qualcosa per sé. Vino, pomodori, olio, frutta, polli, il ben di Dio. Dalla campagna gli portavano di tutto. La gente lo ringraziava così per qualcuna delle sue innumerevoli gentilezze che dispensava a destra e sinistra, anche e soprattutto a gente mai vista, poveretti alle prese con la burocrazia e il sistema giustizia, che in Italia non sempre è facile da decifrare con le sue mille regole e le sue sottigliezze. Oggi forse qualche magistrato troppo solerte potrebbe arricciare il naso di fronte a quei doni e aprire un’indagine, immaginando chissà cosa. In realtà Pittalis amava il suo lavoro, di cui conosceva ogni segreto e lo svolgeva bene, codici e regole le maneggiava con destrezza, la sua memoria era ferrea. Era un generoso sempre pronto a dare una mano. E le persone gliene erano sinceramente grate.

Ogni sera nel tragitto che il cancelliere faceva a piedi dalla pretura fino alla sua abitazione, sita nella parte nord del paese, non c’era persona che non lo salutasse o non attaccasse bottone con lui, che amava chiacchierare, anche a voce alta. Peppino Pittalis ha vissuto la sua intera esistenza in quella vecchia gloriosa pretura, divenuta nel tempo perfino distaccamento del Tribunale di Palmi. L’edificio era stato costruito nientemeno che ai tempi del sindaco Francesco Della Scala (insieme con la villa comunale, la scuola elementare, la torretta, il primo acquedotto e altro ancora) agli inizi del Novecento. Peppino negli ultimi anni di carriera fece in tempo ad assistere al trasferimento della Pretura -nel frattempo divenuta sezione staccata del Tribunale di Palmi- nei nuovi locali di via Roma, destinati purtroppo a vita breve, perché una nuova legge presto ne ha disposto inopinatamente la chiusura definitiva, cancellando così un’attività secolare. 

Il fabbricato, peraltro ben tenuto, della vecchia pretura divenne per qualche tempo biblioteca municipale e l’antica aula delle udienze impiegata per convegni ed eventi vari. Poi fu anche adibita a sala provvisoria del consiglio comunale, mentre i locali sul retro furono usati per altri scopi. Oggi quel vecchio edificio aspetta una nuova destinazione, adeguata alla sua storia e alla sua collocazione nel centro del paese.

(tratto da 'Lessico dell'anima', di Francesco Gerace, 2020; foto Archivio Storico Tropeano e altri)

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