Raffaele Tropeano e l'antica pellicceria

                                                 Raffaele Tropeano


Sul Corso al n. 39, viveva l’avvocato Raffaele Tropeano, splendida figura di cinquefrondese, mai abbastanza ricordata per i suoi meriti. Aveva studiato giurisprudenza, senza mai esercitare la professione forense. Per quasi tutta la vita ha fatto l’imprenditore, anzi l’industriale, come diceva lui stesso con una punta di autoironia. L’avvocato Tropeano è stato infatti il titolare della conceria di pelli, un impianto tanto prestigioso e utile quanto puzzolente, fondato nel 1936 e che per decenni ha dato lavoro a moltissime persone, nei periodi di ‘stagione’ anche a 70 dipendenti tutti insieme.
La conceria Tropeano si trovava lungo la via Roma ed è stata forse l’unica industria della storia di Cinquefrondi. Ogni settimana autotreni carichi di conigli macellati di fresco scaricavano tonnellate e tonnellate di materia prima dai loro frigoriferi. Gli operai avevano il compito di scarnificare, pulire, lavare e poi anche tingere tutte quelle pelli. La materia prima era davvero una roba orrenda a vedersi, e il suo puzzo si sentiva per tutta quella parte di paese, specialmente nei giorni di consegna della merce. I vicini e quelli che ci lavoravano non facevano caso a quel terribile odore, perché abituati e rassegnati. Tutti gli altri invece lo sentivano eccome.

Dopo la lavorazione, le brutte carcasse di coniglio diventavano pelli soffici, meravigliose a vedersi, di tutti i colori, che poi prendevano la via della Svizzera, della Polonia, dell’Ungheria, della Francia, della Gran Bretagna, in particolare diventavano pelli per pellicce di lapin (parola che fa più chic, ma lapin in francese significa coniglio) prodotto peraltro ancora molto venduto. 

Tropeano commerciava le sue pelli in mezza Europa eppure non parlava una parola d’inglese e raramente si muoveva da Cinquefrondi. Quella fabbrica diede lavoro per anni e anni a molte famiglie, soprattutto provenienti dai paesi vicini. La stanza da cui l’avvocato governava tutto quell’apparato misurava pochi metri quadrati, la sua scrivania modesta e molto polverosa era piena di foglietti, appunti, oggetti vari, un disordine assoluto. 

L’avvocato aveva una carica fisica inesauribile pur avendo un serio problema alle corde vocali, infatti parlava a fatica eppure parlava tanto. Conobbi l’avvocato in occasione di una intervista per il giornale Il Viaggio. Tropeano era titolare dell’azienda insieme al fratello Angelo, e fu sorpreso di quell’interesse, ma fu gentile, ci fece visitare lo stabilimento e io in quell’occasione scattai delle foto che sono probabilmente fra le poche testimonianze oggi rimaste della conceria. Ci fece parlare con qualcuno degli operai, ai quali chiedemmo del loro lavoro, c’erano le operaie addette alla scarnitura delle pelli, quelli impiegati nel settore delle tinture, e chi si occupava di finiture e tagli, imballaggi. 

Era una vera industria, seppure in un contesto impensabile tra resti di carni di coniglio maleodoranti, vasche con acqua corrente, enormi ruote che sembravano macine in continuo movimento, e altri aggeggi che non saprei descrivere. Nell’intervista Tropeano disse che alla sua morte (lui era celibe) non gli sarebbe dispiaciuto lasciare l’azienda o una parte di essa agli stessi suoi dipendenti, magari costituiti in cooperativa. 

Restammo impressionati da quell’uomo esuberante, che guidava quel piccolo complicato mondo e pensava ad altre forme di sviluppo e di impresa. E nello stesso tempo parlava del paese e dei suoi problemi, della Chiesa nel mondo e dei missionari. Aveva una vasta cultura e una grandissima curiosità, dissimulate da un atteggiamento abbastanza schivo e riservato, infatti era tutto casa e conceria, salvo la domenica mattina quando si recava a Messa.

Tropeano era un uomo molto generoso. Per diversi anni contribuì a sostenere economicamente le attività del Centro Studi Il Viaggio e della parrocchia, convinto dell’importanza dell’impegno dei cristiani nella società. 


Nelle prime elezioni comunali dopo la guerra, stava per diventare sindaco di Cinquefrondi. Era stato eletto in modo plebiscitario nella lista della Dc ed era il candidato naturale alla carica di primo cittadino. Ma, come ha ricordato l’avv. Raschellà in una recente intervista, gli allora maggiorenti del partito gli preferirono l’avv. Giuseppe Guerrisi (vicesindaco Corrado Cimino) che aveva avuto meno voti, creando peraltro un mare di polemiche nel partito. Tropeano non la prese affatto bene, ma abbassò la testa. Poi qualcosa non funzionò bene di quell’amministrazione Dc e dopo un anno scoppiò la crisi, con seguito di dimissioni e nuove elezioni, alle quali il Pci ottenne la maggioranza assoluta; e la Dc fu condannata al ruolo di opposizione fino al 1967, quando vinse la lista capeggiata da Raschellà.

Il piccolo industriale cinquefrondese restò in politica fino all’inizio degli anni Cinquanta, per poi distaccarsene completamente, respingendo a ogni tornata elettorale gli inviti pressanti a candidarsi. Un pò per disillusione, un pò per amore della conceria, Tropeano finì per ritirarsi nel suo mondo. La conceria fu chiusa all’inizio degli anni Novanta complice una grave crisi del settore e anche a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute del titolare, poi venuto a mancare il 3 aprile del 1993. I locali e gli impianti dell’antica conceria di via Roma, abbandonati e devastati, sono oggi il cupo ricordo di un tempo memorabile.

(tratto da "Lessico dell'anima" di Francesco Gerace, 2020; foto Archivio Gerace)

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